Riporto qui di seguito un’esperienza che mi ha indotto a riflettere su condizioni di vita che non sempre riusciamo a immaginare. Ne parlo pensando che conoscere vuol dire capire. I nomi delle zingarelle sono stati cambiati. I fatti sono reali.
Era l’ora della visita serale, avevo fretta, ero stanca…..dovevo farmi indicare con esattezza la stanza ed il letto della mia amica.
“ ……. l’età …..è frequente ……. un femore rotto …. forse ha inciampato, forse è scivolata .…. o magari si è spezzato da solo …. succede ….”
Erano ordinatamente seduti sul muretto che recinge il giardino all’ingresso dell’ospedale, in paziente attesa. Una siepe di occhi e di corpi. Prima gli occhi però.
Un paio, scuri, scuri, mi hanno immediatamente inquadrata mentre speranzosa prendevo in considerazione l’idea di sgattaiolare dentro non vista. Avrei dovuto saperlo: agli occhi del marito di Norina, mia quasi amica, non si sfugge.
Ho simpatia per Norina perché è “alta” come me, così la posso guardare direttamente negli occhi, perché sa scherzare e ridere di sé e della vita, perché ha un visetto tondo tondo , perché, a volte è insistente, altre sfrontata, perché ha cinque figli (forse ), perché ha male alla schiena a forza di stare seduta sui gelidi gradini delle chiese in inverno.
Allertata dal suo uomo con un breve sussurro mi si è avvicinata sorridente, fiera della confidenza che si è stabilita fra noi. Sospingeva davanti a sé una ragazzetta di nove o dieci anni, sua copia conforme. La bimba sorridendo senza alcuna timidezza mi ha salutata nella lingua sua propria. E’già un’esperta in public relation proprio come sua madre. Sullo sfondo stavano gli altri seduti ordinatamente in attesa. L’atmosfera era serena, si aspettava qualcosa conversando fra amici. Due o forse più, ma due certamente, si distinguevano per i tratti somatici e per l’abbigliamento; non erano zingari, erano gaggiò , barboni per la precisione.
Norina, quando le ho allungato qualcosa, mi ha detto: -Dio ti benedica. Le ho risposto,benedica anche te, volevo aggiungere, e la tua gente….. ma subito si è accostata una giovane donna di forse ventidue o ventitre anni. E’ bella, l’ho vista spesso alla porta della cattedrale. Ultimamente mostrava un pancione sul quale avevo nutrito dei dubbi, invece era vero perché ora teneva tra le braccia un uccellino, un cosino tenero e dolce che dormiva serafico. Poteva avere forse tre giorni.
“Comincia presto la sua carriera di mendicante” ho pensato e gli ho accarezzato un piedino.
–Non ho spicci da darti, ho detto a sua madre. Vado da un’amica, ho fretta, quando esco, se trovo qualcosa te lo dò.
I suoi occhi dubbiosi trasmettevano: “ Non ci si può mai fidare di questi gaggiò.
Ho trovato il soldino e,tornando ho considerato l’idea di uscire da un altro cancello. “ Ma no, ci si deve fidare (con prudenza…) e sono ripassata di lì.
Non mi aspettava, parlava con qualcuno del gruppo. Un breve tocco sulla spalla, si è girata, ha sorriso.
Le ho chiesto: - Come si chiama il tuo bambino?
-E’ una femmina, si chiama Francisca.
- Bambina? Ma se è mezzo affogata in una tutina celeste, ho pensato. Poi, ma che scema! Che importanza vuoi che abbia la tutina celeste, sono altri i problemi !
Si chiama Francisca.
Certo, si chiama Francisca, e come se no?
Alle mie spalle la robusta gaggiò fraternizzava col gruppo conversando amabilmente: “……. Se vado a mangiare lì, poi devo trovarmi anche una panchina per dormire…..” Sono passata tra loro, gli occhi di un barbone mi sorridevano.
La mia biciclette mal chiusa era ancora appoggiata al muretto, nessuno l’aveva toccata, ci si deve fidare….. Pazienti aspettavano la cena. Aspettavano gli avanzi dell’ospedale, sono avanzi puliti e sani, così non vanno sprecati.
Sapevo per certo che in quella siepe c’era uno zingaro o forse un barbone che non ho potuto vedere, ma che era lì, fedele e presente. Anche Lui ,nella sera, aspettava gli avanzi dell’ospedale.
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